venerdì 14 ottobre 2016

Recensione "La foresta di Brocelandia" di Jean-Louis Fetjaine




Titolo: La foresta di Brocelandia.
Autore: Jean-Louis Fetjaine
Pagine: 255
Editore: Ponte alle Grazie
Prezzo: 13.50 €
Serie: 1. Il passo di Merlino
2. Il passo di Merlino. La foresta di Brocelandia

Trama


 Mentre le terre di Bretagna sono devastate dalle guerre e dai conflitti religiosi, Merlino, accusato di stregoneria e perseguitato perché considerato potenzialmente pericoloso, ha finalmente scoperto il mistero delle proprie origini. La sua meta è ora la magica foresta di Brocelandia, ma presto il suo passato lo riporta tra gli uomini: nel regno degli scoti la regina Guendolena ha messo al mondo un bambino di nome Artù...

Partiamo da una certezza.
La foresta di Brocelandia, secondo e ultimo capito della storia iniziata con Il passo di Merlinonon mi ha convinto.
Spiegarvi il perché è un altro paio di maniche. 
Nella recensione del primo libro avevo posto l'accento sul fatto che non accadessero molte cose degne di nota. Qui, se possibile, è ancora peggio. 
Merlino è finalmente in viaggio verso la Bretagna, il luogo dei suoi antentati, alla ricerca delle proprie origini. Per una serie di motivi viene separato da Blaise e quindi troviamo capitoli col punto di vista prima dell'uno, poi dell'altro, insieme a quelli dedicati rispettivamente a Guendolena e Ryderc, personaggi che troviamo anche nel primo libro.
Ora, succede così poco che, dicendo una qualsiasi cosa, faccio sicuramente qualche spoiler.
Le uniche cose degne di nota sono due.
La prima è il ricongiungimento di Merlino con la sua gente. A Brocelandia scopre la magia, gli antichi riti nel cerchio degli alberi sacri, tutte credenze e tradizioni che sono state proibite dal cristianesimo, costringendo chi le praticava a nascondersi e rifugiarsi nei boschi o in altri luoghi inospitali. Quello che mi è piaciuto è che Fetjaine accenna solamente a questa sorta di magia, che affascina il lettore proprio perché non viene spiegata nei minimi dettagli. Può sembrare un difetto, ma in realtà a me piace questo modo di intersecare la realtà con gli antichi riti: parlandone con vaghezza mi dà la sensazione che sia qualcosa di così sacro da non poter essere descritto con le parole e forse anche perché sono dei segreti a cui non possiamo essere messi a parte.
La seconda cosa che mi è piaciuta è il processo a Blaise. Viene infatti accusato da altri componenti della chiesa di aver perso la via di Dio: egli infatti crede che, piuttosto che essere figlio del diavolo, Merlino sia una sorta di Messia, qualcuno inviato da Dio sulla terra per compiere una missione precisa. Questo crea scandalo, soprattutto quando si scopre che Blaise appoggia le idee di Pelagio che a quell'epoca erano ritenute eresie, in favore di una visione agostiniana della natura umana. Ho apprezzato la ricostruzione storica, le tesi, gli esempi riportati dai testi sacri, le parole... il discorso è sembrato così realistico da darmi l'impressione di leggere un documento antico.
Quello che non mi ha convinto per niente invece è il finale. Non posso dire molto perché questo è sicuramente spoiler. Diciamo che era difficile immaginarsi una fine diversa, forse quella scelta dall'autore è la più adatta, però al tempo stesso per come si svolge non mi ha convinta appieno.
Forse il mio giudizio così negativo su questa ultima parte è influenzato dall'odio che provo nei confronti di Guendolena che fa un po' le parti di Ginevra, e io Ginevra non la posso vedere neanche senza occhiali (che nel mio caso equivale a vederla poco o niente) e la sua storia la conoscono anche i muri, perciò non mi sembra il caso di aggiungere altro.
Visto che ho aperto la parentesi "personaggi", dico anche qualcosa su Ryderc: piuttosto che odiarlo per i suoi progetti, ho finito quasi per compatirlo, un po' per sfortuna un po' per incapacità si è trovato a prendere sempre le scelte sbagliate. 
Degli altri personaggi ci vengono mostrati scorci delle loro vite, delle loro missioni che ci trasportano in un'epoca di condottieri più o meno valorosi, ma perlopiù rimangono comparse sullo sfondo.
Se il primo libro aveva suscitato curiosità e aspettativa su come l'autore avrebbe gestito il fattore "magia" e il destino di Merlino, il secondo perde ogni attrattiva quando tutto questo trova risposta, il che risale circa a metà libro. Insomma, questa storia ha del potenziale che non viene sfruttato pienamente, lascia con un grande punto di domanda. Manca coinvolgimento, una trama più dinamica, manca la scintilla che rende un libro appassionante.
Non riesco a sconsigliarvelo, ma se volete leggerlo prendetelo in prestito.

venerdì 9 settembre 2016

Recensione "Il passo di Merlino" di Jean-Louis Fetjaine


Titolo: Il passo di Merlino.
Autore: Jean-Louis Fetjaine
Pagine: 280
Editore: Ponte alle Grazie
Prezzo: 13.50 €
Serie: 1. Il passo di Merlino
2. Il passo di Merlino. La foresta di Brocelandia

Trama


Merlino, l’incantatore che educò il giovane Artù, è da sempre il personaggio che più è avvolto nel mito, nella magia e nel mistero; questo romanzo gli restituisce una possibilità storica raccontandoci come potrebbe essere andata veramente.
Nel sesto secolo la Bretagna è assediata da Sassoni, Gaeli e Pitti. Dopo la morte del re Guendoleu, scoppia una guerra terribile e il bardo di corte, Merlino, celebre per la sua arte e le sue origini misteriose, si trova coinvolto in un complotto dalle conseguenze terrificanti. Perseguitato, affranto per un amore impossibile, cerca di sfuggire ai nemici e alle maldicenze che lo dipingono come "il figlio del diavolo". I suoi rivali, pretendenti al trono di Bretagna, sanno che qualunque cosa accada e quale che ne sia il prezzo, Merlino non dovrà ereditare il collare reale... Così il giovane bardo cerca di mettersi in salvo intraprendendo un viaggio iniziatico. Sue uniche alleate, le creature misteriose che popolano le foreste. Riuscirà a scoprire l’affascinante segreto che grava sulle sue origini? Quanta verità storica c’è nella leggenda del mago consigliere di re Artù? La risposta è ai confini estremi della Storia."


La duologia che comprende Il passo di Merlino e La Foresta di Brocelandia racconta le vicissitudini della vita di Merlino, partendo da un'accurata ricostruzione storica, per quanto possibile, da parte dell'autore.
In questa versione Merlino è il figlio della regina Aldan e di Ambrosius Aurelianus, una delle figure storiche in cui si identifica il leggendario Artù. E' un principe, ma dopo la morte di Ambrosius, la madre lo allontana dalla corte per motivi misteriosi e lo affida a Guendoleu, il vicino re di Cumbria.
Tutti hanno paura di lui, lo chiamano "figlio del diavolo" e sembrano sapere un segreto che riguarda la sua nascita, tutti tranne lo stesso Merlino. Guendoleu, al contrario, l'ha sempre trattato con gentilezza e quasi come un fratello minore, ma quando quest'ultimo muore, affidando al ragazzo il collare d'oro che da Ambrosius si tramandano i re, Merlino rimane solo al mondo. Ed è proprio per il collare e per le sue origini che comincia a essere braccato da chi ambisce al potere, costringendo Merlino a fuggire e nascondersi, nella speranza di raggiungere la madre nel Dyfed, quella che oggi è una parte del Galles.

lunedì 5 settembre 2016

Il Corvo attraverso i miti #1: Huginn e Muninn


In questo percorso vi illustrerò il ruolo dei corvi o i miti nelle varie culture in cui essi compaiono.
Ufficialmente questo è il primo appuntamento, ma in realtà l'argomento cominciava già dal post Spiriti Animali: Il Corvo, che vi consiglio di leggere.

Nella mitologia nordica i corvi sono due degli animali che accompagnano Odino, insieme a duelupi
e un cavallo. I loro nomi sono Huginn e Muninn, rispettivamente «pensiero» e «memoria». Di giorno, volano su tutto il mondo e, al loro ritorno, si posano sulle spalle di Odino riferendogli ciò che hanno visto, messaggi e notizie.
Come per la cultura greco-romana, anche qui ritroviamo i corvi come messaggeri, senza avere per questo un'accezione negativa.
Un'altra frequente associazione è quella con la guerra, non solo perché i corvi si nutrono dei cadaveri lasciati sul campo di battaglia, ma anche perché Odino è raffigurato anche come dio della guerra ed egli sceglie di chi sarà la vittoria.

martedì 30 agosto 2016

I Norreni #1: Yggdrasil, l'Albero Cosmico


In questo percorso condividerò con voi quello che leggo riguardo alla cultura nordica.

Per gli uomini dell'antichità gli alberi rivestivano un ruolo importante: permettevano di scaldarsi, di procurarsi armi con cui cacciare e del cibo. Per questo non sorprende che in molte culture venissero venerati.
Giusto per fare qualche nome, per i celti, i sassoni e i norreni l'asse del mondo era considerato un albero.
Il frassino Yggdrasill è il sostegno del mondo e la sede degli dei norreni: i suoi rami si estendono sul mondo, coprendo il cielo, ha tre radici che si diramano in direzioni differenti: una si trova fra gli Aesir, la seconda presso i giganti, vicino alla fonte di Mimir, dove una volta c'era il Ginnungagap (la voragine prima della creazione), mentre l'ultima si trova nel Niflheimr, sotto cui c'è il pozzo Hvergelmir. Al centro invece troviamo il Miðgarðr, la terra degli uomini, la cui traduzione può essere "spazio dentro il cerchio", ed è circondato dall'oceano.


Presso la radice nel territorio degli Aesir si trova la fonte di Urðr, dove vivono le Norne, che donano a ogni uomo la sua sorte al momento della nascita.
Allora Gangleri disse: «Se le Norne determinano i destini degli uomini, allora li ripartiscono in modo ineguale: taluni hanno una vita buona e ricca, ma altri non hanno ricchezza né onori; taluni vita lunga, altri breve». 

Hár dice: «Le Norne buone di grande stirpe procurano una vita buona. Ma quegli uomini che incappano nella sventura, lo devono alle Norne maligne.»

[Edda, Snorri, Gylfaginning, 15]

lunedì 22 agosto 2016

Indoeuropei #2: Bevande degli Dei: l'idromele [Parte II]

Questo piccolo percorso si baserà principalmente sul libro "La cultura indoeuropea" di Romano Lazzeroni. Tutto ciò che vi troverete è basato su nozioni di linguistica e filologia. Il tentativo dell'autore è quello di risalire a matrici ideologiche e culturali attraverso l'etimologia dei termini, indagando come i parlanti di quella data lingua organizzavano e interpretavano i dati dell'esperienza in una precisa epoca e cultura.


Nel post precedente abbiamo parlato delle origini linguistiche e concettuali del nettare e dell'ambrosia nella cultura greco-romana.
Oggi, partendo da testi differenti, indagheremo invece quelle dell'idromele, bevanda sacra presso i norreni e i celti, ma già conosciuta da Egizi, Romani e Greci. Questi ultimi la offrivano a Persefone, dea dell'Oltretomba, in riti propiziatori per raggiungere uno stato di allocoscienza. Nei Misteri Eleusini il kykeòn (κυκεών) era una bevanda iniziatica e misterica, composta di acqua, menta e orzo. Secondo alcuni studiosi, però, a questa miscela veniva aggiunta una sostanza psicoattiva in grado di conferire il potere della visione agli iniziati.
Per quanto riguarda i Norreni, l'Edda (un poema epico) ci narra una singolare leggenda che racconta l'origine di questa bevanda. Prima di esporla, però, dobbiamo fare  un passo indietro e dare qualche ragguaglio sulla gerarchia delle divinità.
Il pantheon si compone di due gruppi principali: gli Aesir e i Vanir, gli uni più vari, appartenenti a una religione più recente ed espressione di una civiltà guerriera; gli altri più omogenei, più antichi e prodotto della civiltà agricola. I maggiori esponenti dei primi sono Odino, il capo degli dei; e Thor, "il dio che tuona". Ai Vanir appartengono invece Freyr, Freyja, rappresentanti della fecondità, della ricchezza e della pace, e, con le stesse accezioni, Njördhr, il dio del mare.

venerdì 19 agosto 2016

Indoeuropei #1: Bevande degli Dei: nettare e ambrosia [Parte I]


Questo piccolo percorso si baserà sul libro "La cultura indoeuropea" di Romano Lazzeroni. Tutto ciò che vi troverete è basato su nozioni di linguistica e filologia. Il tentativo dell'autore è quello di risalire a matrici ideologiche e culturali attraverso l'etimologia dei termini, indagando come i parlanti di quella data lingua organizzavano e interpretavano i dati dell'esperienza in una precisa epoca e cultura.

Prima di partire ricordo qualche rapida informazione.
Con indoeuropei si indica un gruppo di popoli che parlavano la stessa lingua (che si differenziò con la loro espansione su territori diversi), ma che non costituivano una stirpe unitaria. L'ipotesi più accreditata è che vissero tra il IV e il III millennio a.C. nell'area tra il Danubio e gli Urali.


"Il cibo degli dei", piatto in maiolica del 1530
attribuito a Nicola da Urbino
Nella lingua greca il termine nectar (νέκταρ) «nettare» indica l'alimento che, insieme all'ambrosia (ἀμβροσίη),  assicura l'immortalità. 
Secondo un'etimologia ottocentesca sostenuta de Thieme e da Schmitt, néctar sarebbe composto dal nome della morte νέκ- (latino nex, greco νέκυς nécus) e dal grado ridotto *tᶉ- della radice indoeuropea *ter(ə) - «attraversare». Il nettare quindi è la sostanza magica con cui si attraversa e perciò vince la morte. 
Per capire perché "vincere" sia detto "attraversare" ci vengono in aiuto i testi vedici (raccolte in sanscrito di testi sacri) e della tradizione latina.
La prima cosa da fare è chiarire la differenza tra morte naturale e morte prematura nella visione vedica: la prima è dovuta alla vecchiaia, la seconda a qualsiasi altra causa ed è quella che può essere vinta, rappresentato come un «attraversarla», tarati in sanscrito.
Nel mondo latino abbiamo la stessa distinzione: mors per la morte naturale, nex è la morte prematura, perlopiù causata dall'uomo.
Nectar si compone quindi del lessema di origine latina che rappresenta la morte prematura e della base verbale che indica l'attraversamento.
Ma perché il verbo «attraversare»?
Sempre nei Veda, ogni male è concepito come una strettoia, amhas- e, la vittoria su questo male, è considerato l'attraversamento di tale strettoia.
Chiarito questo, possiamo passare all'ambrosia, perché nel nome greco vi è contenuto il nome della morte naturale: ἀμβροσίη < *ṇmᶉt- ed ecco spiegato perché ricorrono in coppia: uno sconfigge la morte prematura, l'altro garantisce l'eterna giovinezza. L'immortale in greco è «ἀΘάνατος καί ἀγήρως» (athànatos kai aghéros) "senza morte e senza vecchiaia", in sanscrito troviamo ugualmente amᶉtae ajurya- col medesimo significato.

Senza la lettura dei Veda non avremmo potuto ricostruire una realtà che aveva una coerenza solo nel sanscrito vedico e ci costringe a tener conto di un archetipo indoeuropeo.


Fonte: La cultura indoeuropea di Romano Lazzeroni, Laterza, 1998

mercoledì 17 agosto 2016

Spiriti Animali #1: Il Corvo


Spiriti Animali è un appuntamento in cui parlerò della simbologia degli animali, del loro significato spirituale, delle credenze che li riguardano e del loro ruolo nelle varie culture.


Il corvo

Contrariamente a quanto siamo soliti pensare, il corvo non è un animale negativo, anzi, nell'antichità era tenuto in gran conto presso molte culture, di cui parleremo nel corso del tempo.
Nella cultura greca i corvi erano originariamente bianchi e consacrati ad Apollo.
Il mito narra che il dio, dovendosi assentare da Delfi, lasciò un corvo a sorvegliare l'amata Coronide, la quale però si innamorò del giovane Ischi. Il corvo, venuto a sapere del tradimento della fanciulla, corse a informare il suo padrone che, accecato dalla collera, uccise Coronide. Ella, prima di spirare, gli confidò di essere incinta di lui, facendolo pentire del suo gesto. Apollo estrasse il bimbo dal ventre di Coronide e cercò di salvarla, ma non ci riuscì. Per punire il corvo per aver fatto la spia e per aver portato cattive notizie, Apollo mutò il colore del suo piumaggio in nero.
Anche il legame con la sorveglianza è molto importante. Questi animali infatti costruiscono il nido vicino alla cima degli alberi per poter controllare il territorio e dispongono punti di osservazione quando nutrono i piccoli. Capita raramente che si uccidano tra di loro, e di qui deriva l'antica credenza che il corvo attaccato fosse una sentinella che aveva commesso un errore.
Sono in grado di riconoscere i pericoli riuscendo a mettere sull'avviso i corvi e gli altri animali della presenza di intrusi.
Un'altra importante caratteristica è quella della voce. Per la conformazione della sua laringe appartiene alla famiglia degli uccelli canori, benché risulti difficile pensarlo. In realtà alcune testimonianze, purtroppo non affiancate da prove, ci raccontano che quando il corvo è da solo canta con voce armoniosa. Hanno un'estensione vocale ampia e un linguaggio complesso, possono gracchiare in molti modi diversi, ognuno dei quali ha un significato specifico, hanno la lingua ma non la usano per modulare i suoni.
I corvi sono animali molto intelligenti: sono in grado di adattarsi all'ambiente, sono onnivori, hanno l'abilità di comunicare tra loro e lavorare insieme. Tutte queste caratteristiche hanno fatto guadagnare loro la nomea di ladri, anche perché capita che rubino il cibo agli altri uccelli e persino agli uomini.
Come accennato, il corvo è presente in molte culture, con accezioni spesso anche contraddittorie. In Cina troviamo un corvo a tre zampe, simbolo di solitudine; in Giappone come messaggero divino; per gli indiani dell'Alaska il mondo fu creato da un corvo imperiale; presso i Celti era simbolo della creazione e legato a più divinità; Odino, una divinità norrena, aveva due corvi come messaggeri.
E' uno degli animali che Noè fece uscire dall'Arca e che non fece più ritorno, ma d'altro canto nella tradizione biblica il profeta Elia venne nutrito dai corvi, quando si nascondeva dal re Ahab. 
Per questa sua dualità possiamo paragonarlo alla tradizione popolare che riguarda il coyote per gli indiani delle pianure e la mantide religiosa per i boscimani del deserto del Kalahari: entrambi erano considerati imbroglioni, folli, ma al contempo saggi e sapienti. 
Un altro utile paragone può essere quello all'Arcano XIII dei Tarocchi, l'Arcano senza nome, meglio conosciuto come la Morte. Questa carta rappresenta la fine di un ciclo, di una situazione e l'inizio di un rinnovamento conseguente, indica un cambiamento e una profonda trasformazione.
Da una parte abbiamo quindi valenze positive, il corvo come simbolo di nascita, di creazione, di magia e misticismo; dall'altro simboleggia la morte ed è foriero di oscuri presagi.
Ciò si ricongiunge alla caratteristica più evidente del corvo: il colore nero assoluto del piumaggio. Il nero è il colore della creazione, della notte, 
 il colore materno: la nera notte che partorisce un nuovo giorno.
A questo punto è bene ricordare che il corvo, nell'alchimia medievale, è il simbolo della nigredo o putrefactio, la prima fase del processo alchemico che prevedeva la morte dell'Io, ovvero di tutti i desideri personali, o del disfacimento della materia. 
Alla luce di questi ultimi aspetti, non è possibile attribuire un solo significato al corvo, è sia morte che nascita, così come ogni fine è un nuovo inizio.


Fonti: Segni e presagi del mondo animale. I poteri magici di piccole e grandi creature., Ted Andrews.